Come
viene fatto sempre più spesso, la Citroen nel 2010 ha rispolverato la soffitta
e riportato in auge la sigla "DS", che contraddistingue una linea di
veicoli più anticonformista ed emozionale rispetto al resto della gamma. Il
mercato ha premiato l'operazione, con DS3, DS4 e DS5 che hanno talvolta
superato i modelli "base" in termini di vendite (C4, stiamo parlando
di te). A partire dalla Cina DS debutterà addirittura come marchio premium a sé
stante, come Lexus ed Infiniti per Toyota e Nissan. Ma cosa rappresentano
veramente quelle due lettere?
La
risposta è semplice, e nota più o meno a tutti. La DS è stata una
delle auto più importanti della storia, forse la più rivoluzionaria. È stata il simbolo della capacità
della casa del doppio chevron di stupire tutti, di innovare come nessuno.
Capacità alla quale si ispira la moderna Cactus; nulla a che vedere con
semplici modelli derivati come la DS3, che di innovativo ha forse il
distributore di fragranze per dire addio all'arbre magique. Tutti negli anni
'50 volevano una Citroen DS, dalla gente del popolo alle star del cinema come Brigitte Bardot, da
chi era entusiasmato dalla sua avanguardia tecnica a chi era rapito dal suo
look inconfondibile. La risposta, inesorabile, è sempre quella del mercato. A detta di molti mai nella storia dell'automobile un'auto di serie ha raggiunto gli stessi livelli di innovazione, prestazioni, comfort e stile. Ci vorrebbe un libro intero per raccontare la DS; ci proverò in poche righe.
I
pannelli della carrozzieria erano imbullonati a vista, così da essere di facile sostituzione. Il
capolavoro è però l'impianto idraulico, che gestiva servosterzo (sic!), servofreno (con ripartitore della frenata) e
frizione. Il pedale di quest'ultima non c'era per via del cambio
semiautomatico, frizione che era peraltro regolabile; in caso di frenata
d'emergenza, il cambio andava in folle per non far spegnere la macchina. E arriviamo
al clou, le sospensioni. Un'impianto di sospensioni oleopneumatiche livellanti consentiva
di mantenere costante l'altezza da terra della vettura ad ogni buca ed asperità
della strada, facendo godere i passeggeri degli anni cinquanta di un confort
mai sperimentato prima. La DS in teoria poteva pure "camminare" su tre ruote, e
gli si poteva sostituire una ruota senza bisogno del cric. Il dispositivo,
regolabile, era livellato tramite una pompa a sette pistoni e a quattro sfere,
una per ruota, piene di azoto e olio (separati tra loro) in modo che
quest'ultimo comprimesse il gas.
La bontà del sistema era dimostrata dalla
partecipazioni ai rally: nonostante il portamento da berlinona esso le conferiva una buona agilità sullo sconnesso; la DS ha vinto il Monte Carlo nel 1959, partecipato a numerosi rally marathon, e convinta dai risultati Citroen aprì una squadra corse. Michelin produceva gli pneumatici radiali (X-Radial) apposta per lei. Una chicca: da spenta la DS si
"sedeva" sulle ruote, le ganasce della polizia le erano quindi
sconosciute. Completava l'opera tecnica l'essere la prima auto europea con
freni a disco anteriori. Il motore 1.9 erogava dapprima 75 cavalli,
successivamente 83, fino a venir sostituito da un duemila nel 1965 per i
secondi dieci anni di carriera del modello. Quest'ultimo venne affiancato dal
2.1 della DS21 dal 109 cavalli.
L'altra metà della mela, l'aerodinamicissima estetica, tutta protesa dal posteriore all'anteriore. La coda rastremata, l'abbondante vetratura, le forme diverse da ogni altra auto: Dea fece breccia in molti cuori. Le sue forme non erano mai state sperimentate prima, aveva una sensualità conosciuta all'epoca solo alle auto più lussuose. Il cx aerodinamico era di 0.38, grazie anhe alle ruote posteriori carenate. I fanali anteriori, dapprima tondi, diventarono dalla seconda serie (1967) degli "occhi di squalo" (che confesso da bambino mi facevano un po' paura). Anche gli ampi interni erano d'effetto, con il volante a razza unica; le prime serie avevano un divano unico anteriore e consentivano un'abitabilità per sei persone. Infine fu una delle prime auto di massa per la quale vennero sperimentati materiali leggeri, come l'alluminio del cofano e la plastica del tetto.
Molte versioni della DS si sono succedute durante gli anni. Dalla economica e semplificata ID alla
ricca Pallas, fino alla Prestige di rappresentanza. La meno fortunata versione
station wagon si chiamava Break, mentre la cabrio entrò in listino
ufficialmente molto dopo, visto il successo delle trasformazioni scoperte del
carrozziere Chapron. In particolare, la Break, poteva ospitare fino a 8
persone. Negli ultimi tre anni della produzione, che terminò nel '75, vennero
introdotte le versioni DS23, con un 2300 cc a carburatori o iniezione elettronica
(da 141 cv). Vennero allestite anche una ventina di indimenticabili serie
speciali, come la cabrio Croisette e la "sportiva" GT19 Coupé. Come auto di rappresentanza infine la sua immagine fu rafforzata dall'attentato a De Gaulle del '62 nel quale, sebbene crivellata di proiettili e con due gomme a terra, riuscì ad allontanarsi spedita.
Insomma, un'auto leggendaria della quale memoria si deve far tesoro. Manca infatti ai costruttori odierni (forse costretti ad omologarsi per leggi, mode, investimenti) quella genialità e quel coraggio che ha portato quelli di Citroen a concepire un tale concentrato d'eccellenza ed innovazione; quella memoria non deve andar persa. Ricorrono in questi giorni i 40 anni dalla presentazione al Salone di Parigi della degna sostituta della DS, una filante berlina che non a caso venne chiamata come il coefficente di penetrazione aerodinamica, CX (0.34 per la precisione), ma questa è un'altra storia.