La
storia della Formula Uno è costellata di imprese, di campioni, di eroi. Ma lo è
anche di storie di piccoli costruttori e di idee originali; spesso gli esiti sono stati discutibili, ma è il bello delle corse. Spesso, come in una delle
ultime edizioni di Goodwood, si indica la Life come la peggiore monoposto di F1
di sempre, e in effetti per i risultati può esserlo stata. Tuttavia, in mezzo a
piccole scuderie scadenti, la storia di questa meteora vale la pena di essere
raccontata.
Siamo
negli anni dell'abolizione dei motori turbocompressi nella massima serie
automobilistica, tra le varie idee motoristiche spicca quella dell'ex ingegnere
Ferrari Franco Rocchi: un W12. Avete letto bene,
"W"...un'architettura in voga decenni prima in campo aeronautico.
L'unità era costituita da tre bancate da quattro cilindri ciascuna, un motore
più corto rispetto ad un tradizionale dodicivù; ciò avrebbe consentito di
progettargli intorno una monoposto più corta ed agile. L'imprenditore Ernesto
Vita intuisce che l'idea può avere un seguito, soprattutto commerciale
(l'originalità avrebbe attratto gli sponsor), così ne acquista i diritti e
testa su una AGS il W12 in vista della stagione 1989, senza successo.
Vita
non si perde d'animo, non vuole polverizzare il suo investimento; viene fondata
la Life Racing Engines (life, inglese per "vita") con l'obiettivo di
prendere parte al mondiale 1990. Sede a Formigine, officina a Modena. Viene
acquistato il progetto della vettura dell'esordio (naufragato) del team First
(la F189, provata da Tarquini al MotorShow) che inizialmente avrebbe dovuto
ospitare il V8 Judd; in tal modo non si sfruttarono appieno il vantaggio della
lunghezza inferiore della vettura ospitante, ma si portò comunque a compimento
in progetto. La F190 si presentava con una ridottissima sezione frontale,
favorendo la penetrazione aerodinamica: le prese d'aria laterali erano ai lati
della testa del pilota, la vettura aveva quindi pance laterali estremamente
affusolate. C'erano i presupposti per far bene.
L'unica
F190 affidata a Gary Brabham, figlio di Jack, dà subito problemi elettronici ai
primi collaudi a Vallelunga e Monza, peraltro senza prestazioni di rilievo;
pure i ricambi latitano. È in questa situazione che si esordisce a Phoenix per
la prima gara della stagione: la Life si ritira dopo quattro giri di
prequalifiche. Quando le cose vanno male, la sfortuna ci vede benissimo: in
Brasile la monoposto si ferma dopo aver percorso solo la corsia box con la
batteria a terra; purtroppo gli organizzatori del circuito avevano staccato la
corrente dal box per manutenzione.
Mentre
i tecnici ridisegnano l'intero impianto elettrico, Brabham abbandona la nave.
Viene chiesto a Bernd Schneider di prenderne il posto, ma rifiutò l'offerta. Si
offre il sedile a Scarpini, ma non gli viene assegnata la superlicenza; pure
Bruno Giacomelli all'inizio ha la medesima difficoltà, ma alla fine ha il
premesso di correre per la Life. La scuderia, negli eventi successivi non superò
mai le prequalifiche: quando vi ci si riusciva a partecipare, i distacchi erano
nell'ordine della decina di secondi.
Nell'estremo
tentativo di risollevare la situazione, per il vero mai decollata, si tradisce
addirittura l'idea iniziale che rendeva tanto particolare questa avventura. Il
W12 venne rimpiazzato dopo la dodicesima gara dal V8 Judd. In Portogallo non si
riuscì a scendere in pista perchè, grossolanamente, il cofano motore non
riusciva a chiudersi con la nuova unità. In Spagna l'ultima apparizione della
F190, prima del ritiro anticipato dal circus.
L'ennesimo
fallimento, di quelli che rendono la F1 tanto dura e selettiva. Ma uno dei
simboli dell'originalità nel campo dei motori, del voler andare fuori dagli
schemi, con coraggio e dedizione. Per questo che la Life, la peggiore
monoposto, è ricordata dai più con simpatia; e torniamo a Goodwood del 2009, dove si è
esibita urlando con la voce del suo...W12!
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