Ci troviamo negli anni'80, siamo nei panni dei dirigenti di una casa automobilistica e vogliamo entrare nel mondo dei rally perchè tutti i concorrenti stanno progettando una vettura da gara.
Inoltre non abbiamo alcun retaggio relativo al mondo delle corse e siamo specializzati nella produzione di citycar.
Cosa mandiamo a gareggiare?
Semplice, uno dei nostri modelli con una meccanica da gara ed un motorino pompato all'inverosimile così da gareggiare nella classe riservata alla classe 1300 cm3.
Probabilmente era questo lo scenario che portò Daihatsu ad entrare nel mondo dei rally con la Daihatsu Charade Turbo nel 1985.
La casa giapponese specializzata in citycar e keicar tentò così l'esperienza rallystica utilizzando uno dei suoi modelli di maggior diffusione, la Charade.
Originariamente equipaggiata con un motore a 3 cilindri da 993 cm3 sovralimentato, la Charade Turbo da gara venne equipaggiata con lo stesso propulsore, ma rivisto in maniera da ridurre la cubatura a 926 cm3.
La FIA imponeva un parametro di equivalenza per i motori sovralimentati pari ad 1,4. Quindi, per poter gareggiare nella classe riservata alle vetture con motore di 1300 cm3, bisognava avere un propulsore sovralimentato di cubatura massima pari a 1300/1,4 cm3.
Il risultato di questo rapporto è 928,57 cm3. Il nuovo propulsore progettato dalla casa giapponese rientrava perfettamente nelle regole di categoria.
Nonostante la Charade 926 Turbo fosse un'auto competitiva nella sua classe, era necessario fare il salto di qualità e proporre una vettura capace di surclassare tutte le concorrenti.
Fu così che la casa giapponese usufruì del know how in materia di auto ad alte prestazioni della De Tomaso.
Le due case automobilistiche collaboravano già da qualche anno per via della fornitura dei motori Daihatsu sulla Innocenti Mini.
Si arriva quindi al Tokyo Motor Show del 1985 e Daihatsu presenta un piccolo razzo a motore centrale: la Charade De Tomaso 926R.
Si nota sin da subito che della normale Charade 926 Turbo è rimasto ben poco: il motore è una evoluzione del propulsore 3 cilindri sovralimentato CB60 da 926 cm3, siglata CB70.
Le principali differenze risiedevano principalmente nell'adozione di una testata a 12 valvole bialbero, in una nuova elettronica di gestione del motore ed in una totale rivoluzione dell'impianto di sovralimentazione, composto da una nuova turbina IHI più performante rispetto all'originaria RHB32 e da un intercooler.
La piccola italo-giapponese riusciva a scaricare la sua potenza sulle ruote posteriori grazie ad un cambio a 5 marce con il prezioso ausilio di un differenziale a slittamento limitato.
A differenza della 926 Turbo, la Charade 926R presentava un layout a motore centrale, concettualmente vicino a quello della Renault 5 Turbo Maxi.
Le analogie concettuali tra le due vetture derivavano anche dal fatto che la 926R e la 5 Turbo Maxi erano versioni da gara di auto popolari con motore e trazione anteriore.
Il telaio su cui era basata questa piccola arma da rally era codificato come G11 che ospitava il già citato motore in posizione centrale trasversale.
A corredo del comparto telaistico c'erano sospensioni indipendenti a triangoli sovrapposti con ammortizzatori a ghiera sia all'anteriore che al posteriore.
L'auto quindi poggiava su cerchi Campagnolo da 15x6 gommati con delle Pirelli P700 205/50/VR15 all'anteriore e cerchi da 15×7 gommati con delle Pirelli P700 225/50/VR15.
Inoltre l'auto era dotata di freni a disco su tutte e quattro le ruote.
Il peso della vettura era contenuto in soli 800 kg.
Un valore incredibile se si pensa che l'auto aveva una dotazione molto più' completa rispetto ad altre auto derivate dalle concorrenti nelle varie classi del gruppo B.
Selleria in alcantara grigia e tessuto rosso tappezzavano gli interni della 926R ed una strumentazione completa composta da ben 8 strumenti analogici, di cui due (tachimetro e contagiri) di dimensioni maggiori rispetto agli altri 6 che tenevano d'occhio i vari parametri vitali dell'automobile.
Il volante era un Momo rivestito in alcantara grigio da 350 mm di diametro.
Come da prassi per le auto derivate dal gruppo B, non erano installati a bordo l'impianto di aria condizionata e l'impianto stereo.
La carrozzeria risultava molto accattivante e lasciava intendere evidentemente quali fossero le sue reali intenzioni.
Le gigantesche prese d'aria laterali rimandano alla leggendaria Delta S4, sia per quanto riguarda il posizionamento sul corpo vettura che per quanto riguarda la forma delle stesse prese d'aria.
Inoltre, sempre dal punto di vista aerodinamico, erano degne di nota la gigantesca presa d'aria presente sul cofano anteriore e le appendici aerodinamiche atte ad incrementare la stabilità della vettura su strada.
Per un'auto con queste intenzioni di sportività, il colore non poteva che essere il rosso, simbolo di sportività che richiamava in maniera evidente alle corse.
Sfortunatamente, la Daihatsu Charade De Tomaso 926R non entrò mai in produzione, nonostante vennero organizzati numerosi test drive per la stampa (che riportò le grandi doti di maneggevolezza e di facilità di guida della Charade 926R) ed in casa Daihatsu iniziarono ad approntare un adeguato piano commerciale ed industriale.
La causa per cui questa vettura non venne mai commercializzata fu l'abolizione del Gruppo B verso la fine del 1986 a causa dei gravissimi incidenti come quello di Santos su Ford RS200 in Portogallo (che causò tre morti e decine di feriti tra gli spettatori) e quello che costò la vita ad Henri Toivonen e Sergio Cresto al Tour de Corse.
Con l'abolizione del gruppo B, cambiò anche la regolamentazione relativa alla produzione di vetture di serie derivate dalla versione da gara: non più 200 unità stradali prodotte e 20 evoluzioni annuali, ma ben 5000 vetture stradali prodotte derivate dal modello da gara.
Di fronte a questi volumi di produzione imposti dalla FIA, ogni piano di Daihatsu relativo alla partecipazione ai rally venne accantonato e con esso la produzione della Charade De Tomaso 926R.
Nonostante tutto, questo prototipo non fu fine a sè stesso: il propulsore CB70 venne infatti riproposto sulla successiva serie della piccola giapponese nella versione GTti.
Sarebbe stato bello vedere la piccola Charade 926R sfrecciare sull'asfalto della Corsica o sul col de Turini, ma purtroppo questo rimarrà solo un sogno di molti appassionati e forse anche della stessa Daihatsu.
Purtroppo il lato "drammatico" del Gruppo B è che, per tanti progetti divenuti leggendari grazie alle vittorie conseguite, ci sono altrettanti progetti rimasti tali per via dell'adozione del nuovo regolamento a partire dal 1987.
Peccato, davvero.